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Mario Elisei spiega le radici del pessimismo leopardiano

Libri

Nell’ambito del progetto Libriamoci, sabato 16 novembre, le classi terze, quarte e quinte dell’Istituto hanno incontrato Mario Elisei, lo studioso dell’opera e del pensiero del poeta recanatese Leopardi, su cui ha scritto numerosi libri, tra i quali Il mio amico Leopardi e Il no disperato.
Ha guidato con semplicità e chiarezza gli studenti alla scoperta delle radici del pessimismo del grande poeta.

Perché Leopardi ha maturato un pessimismo così radicale? Da quali letture, da quali rapporti familiari, da quali riflessioni personali, da quali problemi fisici è nata la sua visione negativa dell’esistenza? Citando soprattutto dallo Zibaldone e dall’Epistolario, ma non tralasciando naturalmente in questo momento L’infinito, ha mostrato loro come Leopardi non sia solo un poeta e filosofo, ma un pensatore della crisi, e come questo lo renda una guida per comprendere meglio la contemporaneità che ha bisogno di una parola di speranza: io vivo dunque io spero (Zibaldone, 18 ottobre 1825). La vita, per il solo fatto che c’è, è già una speranza. Una parola di speranza da Leopardi? Sì, “perché Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. […] È scettico, e ti fa credente.” (F. De Sanctis). Interesse e curiosità ha suscitato infine la copia del manoscritto di “Alla sua donna”, in possesso della quale l’appassionato relatore è entrato con non poche difficoltà e di cui ha mostrato ai ragazzi una gigantografia.

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